Da terra d’acqua a terra di cooperazione e di riscatto: è questo il viaggio che compie lo sguardo posandosi sulla sterminata distesa di terra, conquistata alla palude e coltivata con ordine e tenacia, che appartiene a una delle più importanti e antiche cooperative agricole di questa regione, e non solo. È il viaggio che porta chiunque arrivi da queste parti a scoprire come nel “paese dei ranocchi” – imperdibile a settembre l’annuale sagra che Conselice dedica da oltre mezzo secolo al prelibato animaletto –, dove imperavano malaria, analfabetismo, povertà e fame, si sia riusciti in un secolo di storia, di trasformazioni radicali e di lotte sociali ad approdare a una modernità che sa coniugarsi a una irriducibile tradizione di solidarietà – non è un caso che proprio qui sorga l’unico monumento italiano alla libertà di stampa.
La CAB Massari prende il nome da un’antica famiglia di proprietari di Ferrara, le cui terre furono acquisite agli inizi del Novecento dalla Federazione delle cooperative della provincia di Ravenna, ma affonda le proprie origini nelle società operaie di mutuo soccorso, la prima a Conselice è del 1877, poi nella Società cooperativa di operai braccianti di Conselice e San Patrizio fondata nel 1884, qualche anno prima dei fatti gravissimi che colpirono una popolazione provata dalla fame il 21 maggio 1890: durante uno sciopero di risaiole, i carabinieri spararono sulla folla riunita nella piazza del paese per chiedere pane e lavoro, tre i morti, trenta i feriti.
Da allora, nonostante due guerre mondiali e il drammatico ventennio fascista, la cooperativa dei braccianti non ha fatto che radicarsi sempre più e ampliarsi, continuando a bonificare, conservare e sviluppare i terreni, fino a raggiungere le dimensioni attuali di quasi 2.500 ettari, senza mai rinunciare al principio della proprietà indivisa e difendendo i diritti e il benessere dei lavoratori e delle lavoratrici, che sono tante. Secondo un’idea di sostenibilità etico-sociale, che si rispecchia in quella di sostenibilità ecologica: nonostante l’impiego delle macchine e delle tecnologie più avanzate, sono ampie le aree di coltura biologica o integrata e, anche grazie a finanziamenti europei, moltissime sono le aree “rinaturalizzate”, ovvero boschi e boschetti, zone umide e siepi riportate a come erano prima delle bonifiche. Quindi, un panorama antico e un lavoro sulla memoria, come quella conservata nel piccolo museo che trova posto nella suggestiva architettura di un magazzino del riso di fine Ottocento: vecchi attrezzi e carri, bilance, trebbiatrici e spannocchiatrici… Salde radici nel passato per meglio costruire il futuro.
(da una conversazione con Giampietro Sabbatani, di Susanna Venturi)
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