Da Verdi a Mozart, da Puccini a Leoncavallo e Mascagni, da Bellini e Bizet fino a esplorare l’eredità dantesca e l’operetta: negli anni la Trilogia d’Autunno ha attraversato grandi stagioni della lirica e questa volta, a coronamento della XXXV edizione di Ravenna Festival, si avventura fino alle radici del belcanto e alle origini dell’opera. È infatti al Seicento barocco che appartengono i titoli e il repertorio in scena al Teatro Alighieri di Ravenna dal 15 al 19 novembre. Due i nuovi allestimenti che possono contare sulla raffinata regia di Pier Luigi Pizzi e la sapienza musicale di Accademia Bizantina e Ottavio Dantone: il primo è Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi (15 e 18 novembre), mentre il secondo è dedicato a Purcell, la cui ode a Santa Cecilia incastona Dido and Aeneas (16 e 19 novembre). Al centro del dittico di “eroi erranti in cerca di pace”, come vuole il titolo della Trilogia, c’è un recital: il controtenore polacco Jakub Józef Orliński, affiancato dall’ensemble Il Pomo d’Oro, propone Beyond | Orliński (17 novembre). La Trilogia d’Autunno 2024 è realizzata con il sostegno del Ministero della Cultura e il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna; Eni è partner principale di Ravenna Festival.

“A ‘tenere insieme’ le opere sullo stesso palcoscenico, una sera dopo l’altra, è un dispositivo scenico comune – spiega Pier Luigi Pizzi, che cura anche scene e costumi (sono invece di Oscar Frosio le luci) – È un luogo della memoria, uno spazio culturale dove si svolgono le due azioni che, pur vivendo in una stessa architettura, debbono ognuna respirare secondo le proprie peculiarità e soprattutto secondo l’unicità della partitura e del libretto. A orientare il pubblico nel Ritorno di Ulisse si vedrà da subito il telaio di Penelope, oggetto che da solo richiama l’antefatto, le pene della lunghissima attesa. Mentre nel Dido il clima emotivo è diametralmente opposto: siamo in una scuola e al centro ci sarà la vitalità dei giovani studenti, la gioia di fare musica e la spontaneità dell’improvvisazione. Senza dimenticare che al di là di queste differenze, entrambe le opere affondano le radici nel mito: Ulisse ed Enea, reduci della guerra di Troia, sono costretti a peregrinare a lungo in terre diverse e tra gente straniera. Quel lungo percorso, le prove sostenute e le avversità danno valore alle loro conquiste e alla pace ritrovata.”

“Per stile e retorica, ovvero l’arte del ben comporre, considero Il ritorno di Ulisse in patria la vera opera tra quelle rimaste di Monteverdi, nonché una delle opere più belle mai scritte – sottolinea Ottavio Dantone – Mentre all’interno dell’Ode a Santa Cecilia di Purcell faremo ‘germogliare’ Dido and Aeneas, partendo da un’intuizione registica di Pier Luigi Pizzi: un gruppo di studenti impegnati in festeggiamenti goliardici decidono di rappresentare le vicende dell’eroe troiano e della regina cartagineseSono contento di affrontare Purcell, di cui ho già diretto Fairy Queen, grande genio della storia della musica, unico nel saper fondere i gusti dell’epoca in una ricchezza armonica incredibile. La differenza più appariscente tra il teatro italiano e quello inglese è la presenza dell’elemento magico e incantato, del tutto estraneo, anche in futuro, al carattere dell’opera nostrana. Ma ciò non impedisce a Dido and Aeneas di possedere, come l’Ulisse di Monteverdi, le stimmate inequivocabili della modernità.”

È con il lamento di Penelope che si apre Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, che debuttò per il Carnevale del 1640 al Teatro Santi Giovanni e Paolo a Venezia, dato che l’argomento era sufficientemente noto per un esordio in medias res. Accanto al trittico dei protagonisti umani (a Ravenna Ulisse è Mauro Borgioni, mentre Penelope e Telemaco sono rispettivamente Delphine Galou e Valerio Contaldo) figurano le divinità, ovvero il Giove di Gianluca Margheri, il Nettuno di Federico Domenico Eraldo Sacchi, la Minerva di Arianna Vendittelli e Giunone di Candida Guida. Senza contare le personificazioni della Humana Fragilità (Danilo Pastore), del Tempo (Gianluca Margheri), della Fortuna (Chiara Nicastro) e di Amore (Paola Valentina Molinari). Fra i mortali, accanto ai Proci – interpretati da Federico Domenico Eraldo Sacchi, Danilo Pastore, Jorge Navarro Colorado e Žiga Čopi – e alle donne al servizio di Penelope (la nutrice Ericlea, ovvero Margherita Maria Sala, e l’ancella Melanto, cioè Charlotte Bowden), figurano il fedele porcaro Eumete (Luca Cervoni) e Iro (Robert Burt), un mendicante che è anche il primo personaggio comico di Monteverdi. Il suo grottesco compianto per la pancia vuota e la gola asciutta è un controcanto al severo, elevato recitativo di Penelope e Ulisse, alle canzonette da schermaglia amorosa fra Melanto e l’amante Eurimaco, alla vocalità più elaborata e fiorita degli dei e soprattutto al lamento di Penelope, vetta dello stile patetico monteverdiano. Come affermò il librettista dell’opera, Giacomo Badoaro, con questa partitura il compositore aveva fatto “conoscere al Mondo qual sia il vero spirito della Musica teatrale”.

In Didone e Enea nel giorno di Santa Cecilia, gli allievi di una scuola di musica intonano Hail! Bright Cecilia: l’omaggio alla santa patrona della musica suggerisce l’improvvisazione, all’interno dell’ode, del Dido and Aeneas, che Purcell compose attorno al 1689 proprio per le giovani gentildonne di un convitto nel sobborgo londinese di Chelsea. Anche il libretto di Nahum Tate sceglie per orizzonte l’epica classica, in questo caso virgiliana. Naufrago a Cartagine, l’eroe troiano interpretato da Mauro Borgioni si innamora della regina, affidata ad Arianna Vendittelli, ma una maga (Delphine Galou) trama con le sue compagne (Chiara Nicastro e Paola Valentina Molinari) per separare gli amanti. Lo spirito maligno da loro evocato assume le sembianze di Mercurio (Žiga Čopi) e ordina ad Enea di riprendere il mare per compiere il suo destino. La partenza dell’amato, annunciata dall’aria del marinaio (Jorge Navarro Colorado), spinge Didone al suicidio, sulla celeberrima aria finale When I am laid in earth, con cui la regina prega la confidente Belinda, ovvero Charlotte Bowden, di ricordarla. Il cast vocale si completa con Candida Guida nei panni di un’ancella; nella produzione saranno inoltre in scena Gianluca Margheri e Federico Domenico Eraldo Sacchi e il Coro della Cattedrale di Siena Guido Chigi Saracini guidato da Lorenzo Donati.

A completare la Trilogia è stato chiamato uno dei protagonisti della scena vocale dei nostri giorni, simbolo del rinnovamento e al tempo stesso dell’intramontabile forza espressiva e comunicativa di un repertorio che sa sfidare i secoli. È Jakub Józef Orliński, il controtenore polacco che, poco più che trentenne, con la sua voce celestiale ha conquistato il pubblico internazionale. Con la complicità dell’ensemble Il Pomo d’Oro, il recital include pagine di Monteverdi, ma anche di Barbara Strozzi, Giulio Caccini, Francesco Cavalli ed altri noti e meno noti compositori del periodo. “Con questo programma voglio concentrarmi sul significato della parola ‘Beyond’ – spiega Orliński – in particolare nel senso che questa musica risuona al di là del suo tempo. È ancora attuale, ancora viva, vibrante, toccante, coinvolgente e divertente. Insieme a Il Pomo d’Oro e ai suoi acclamati musicisti, vi porterò oltre i limiti di un concerto classico o di un concetto musicale, in un viaggio di scoperta. Sono aiutato nel mio intento dal mio caro amico Yannis François, che con le sue ricerche d’epoca ha scovato alcuni pezzi straordinari”.

I biglietti sono disponibili alla Biglietteria del Teatro, anche telefonicamente (0544 249244) e online.