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- Data di creazione 9 Giugno 2017
- Ultimo aggiornamento 9 Giugno 2017
Shobana Jeyasingh Dance
Teatro Alighieri, sabato 10 giugno ore 21
È un duetto acceso dal virtuosismo quello creato da Shobana Jeyasingh per Sororaj Subramaniam e Shailesh Bahoran – l’uno solista virtuoso di Bharatanatyam e l’altro stupefacente danzatore di hip hop – che si confrontano in Material Men redux in prima italiana a Ravenna Festival sabato 10 giugno (alle 21) al Teatro Alighieri. In comune i due danzatori hanno le origini: i loro avi erano stati lavoratori a contratto, emigrati dall’India nel XIX secolo per lavorare nelle piantagioni. E la coreografia nasce proprio da questo “materiale”, intrecciando gli stili opposti dei due danzatori nel potente ritratto del loro incontro, dopo un percorso che ha attraversato il mondo. Subramaniam ha iniziato in Malesia gli studi di danza classica indiana, trasferendosi in Australia e quindi in Inghilterra, dove lavora oggi, mentre Bahoran - proveniente dall’ex colonia olandese nel Suriname, oggi emigrato nei Paesi Bassi - è un artista versatile, danzatore autodidatta di hip hop che ama interagire col pubblico stimolandone continuamente stati d’animo ed emozioni. Lo spettacolo è un nuovo tassello del percorso creato dalla coreografa indiana nel 2015 in sintonia tematica con i danzatori, e ora ampliato a serata intera e completamente rivisto presentato su musiche della compositrice australiana (ma di origini uzbeche) Elena Kats-Chernin, eseguite dal vivo dallo Smith Quartet (Ian Humphries violino, Rick Koster violino, Nic Pendlebury viola, Deirdre Cooper violoncello), formazione di riferimento assoluto della Nuova Musica made in UK.
In Material Men redux il loro dialogo di danze e la loro storia di migrazione diventa metafora di attaversamenti di culture e identità. “Migrare - spiega Jeyasingh - significa molto più che solcar mari sconosciuti in direzione di terre straniere”. Così come per gli antenati di Subramanian e Bahoran, resta “il desiderio di mantenere un legame con ciò che ci si è lasciati alle spalle”, inevitabilmente compromesso da distanza e differenze. Attraversare il kala pani, le indistinte acque nere dell’oceano, per i lavoratori del XIX secolo così come per gli immigrati di oggi “significava spezzare il legame con le strutture sociali e religiose connaturate alla geografia dell’India, ai suoi fiumi e montagne sacri. Una volta compiuta questa violazione, la perdita era irrevocabile”.
Material Men redux rielabora queste memorie attraverso il vissuto personale e artistico dei due solisti, all’inizio evocandone le biografie con una voce in sottofondo mentre dal buio i due emergono uniti da un sari dorato, sorta di sacco amniotico a testimonianza della comune origine. Il distacco per percorsi autonomi e paralleli si sviluppa con accenti contrapposti. Dialogo a due, dove l’impaginatura nitida che contraddistingue lo stile di Jeyasingh costruisce un mosaico affascinante di visioni e ritmi, raccontando della violenza della perdita e, al tempo stesso, della capacità di ritrovare nuovi sentimenti di appartenenza.
Di origine indiana ma attiva a Londra, dove è arrivata come danzatrice di Bharatanatyam per affrontare studi shakespeariani, Shobana ha esplorato fin dagli esordi le sue doppie radici, creando sinergie visionarie fra la tradizione della danza indiana e la contemporaneità metropolitana. Anticipando molte delle tematiche su identità, memoria e contaminazione di linguaggi di danza fra Oriente e Occidente che caratterizza molti degli artisti contemporanei, da Akram Khan a Shen Wei. Nel tempo le iniziali radici di Bharatanatyam di Shobana sono diventate un imprinting sullo sfondo, che affiora qua e là mentre con inesausta curiosità la coreografa esplora elementi di arti diverse, dal balletto al gesto quotidiano o alla tecnologia. Un itinerario a sorpresa, in cui resta tanto costante il suo interrogarsi su concetti come barriere, migrazioni, diversità, quanto variegato nell’esplorare linguaggi, materiali e spazi. Nel suo repertorio si trovano affiancate coreografie più formali, da Classic Cut che comprende opere del primo periodo a creazioni site-specific, come quelle che ha portato alla Biennale di Venezia: TooMortal ambientato in una chiesa o Outlander in dialogo ideale con le architetture del Cenacolo Palladiano.
Lo spettacolo è realizzato in collaborazione con Reclam Edizioni e Comunicazione.
Il passaggio in India del Festival 2017 - iniziato con l’entusiasmante concerto di Junun - proseguirà con l’intensa tre giorni del Darbar Festival, un’immersione nella musica classica indiana e nella spiritualità del raga (dal 22 al 24 giugno), per concludersi sulle note del sitar di Anoushka Shankar (9 luglio).
Info e prevendite: 0544 249244 – www.ravennafestival.org
Biglietti: da 12 euro (ridotti 10) a 28 euro (ridotti 25)
‘I giovani al festival’: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffe ridotte.