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- Data di creazione 11 Giugno 2018
- Ultimo aggiornamento 14 Giugno 2018
Il canto ritrovato della cetra
Lo splendore di Aleppo: un viaggio tra i canti d’amore e di lode delle comunità siro-cristiana, armena, musulmana e giudaica
Venerdì 15 giugno, alle 21.30 al Chiostro della Biblioteca Classense
Aleppo: simbolo della musica di tutto il Vicino Oriente, città che per secoli ha colpito i viaggiatori per ricchezza culturale e cosmopolitismo; cinque anni sono bastati a ridurla in un cumulo di macerie da cui la popolazione è in gran parte fuggita. Venerdì 15 giugno alla Classense, il Festival la ricorda attraverso i canti d’amore e di lode delle comunità siro-cristiana, armena, musulmana e giudica. In scena quattro musicisti siriani - il controtenore Razek-François Bitar, il violinista Salim Saroueh, il suonatore di out Nabil Hilaneh e il percussionista Georges Saade - guidati dal musicologo Paolo Scarnecchia. Un appuntamento che è un tributo al passato ma anche speranza per il futuro - speranza che la musica trovi, ancora una volta, le ragioni e la forza per tornare a fiorire, quella capacità di resistere alle oppressioni che quest’edizione del Festival celebra nella sezione Il canto ritrovato della cetra.
Dichiarata dal’Unesco patrimonio dell’umanità nel 1986, Aleppo non aveva eguali per il patrimonio di canti liturgici e devozionali cristiani e delle comunità siriache e armene, ed era nota per la muwashshah, poesia strofica con ritornello di origine medievale, fiorita nelle corti della Spagna musulmana. Lo sa bene Paolo Scarnecchia, che da tempo segue la musica del Vicino Oriente e che nel 2004 presentò a Ravenna Festival il concerto Nella pietra e nel vento dedicato alla musica siriana tra tradizione e innovazione, con l'Ensemble Al-Turath e l’ensemble Abed Azriè. Nel 2004 Scarnecchia scriveva: “Aleppo è un vivaio vocale nel quale i cantori sono prima di tutto educati alla cantillazione coranica e all’intonazione dell’appello alla preghiera e degli inni devozionali, perfezionando la pronuncia e la dizione della lingua araba, mettendo in risalto gli armonici e le sonorità di testa, tornendo le frasi poetiche e musicali con sapiente essenziale semplicità. Le loro voci forgiate dalla pratica dei canti di lode dell’amore divino, esaltano i versi che cantano l’amore terreno lasciando che conturbanti margini di ambiguità coprano di un velo l’oggetto del desiderio e della passione”. Ricordava anche, in quell’occasione, alcuni dei maggiori esponenti di una cultura musicale così ricca: il cantore Sabri Mudallal (1918), allievo di Umar al-Batsh (1885-1950), il più prestigioso musicista aleppino della prima metà del Novecento e custode della muwashshah, Sabah Fakhri (1933) e Muhammad al-Dayikh (1938) quest’ultimo considerato un maestro dell’improvvisazione vocale. Quell’anno Ravenna Festival ebbe modo di intrecciare un legame diretto con la Siria e con i suoi musicisti anche attraverso il viaggio delle Vie dell’Amicizia, che aveva come destinazione proprio la Siria, dove il 25 luglio, nel Teatro Romano di Bosra, ebbe luogo il concerto dell’Orchestra Filarmonica della Scala e dell’Associazione del Coro Filarmonico della Scala diretti da Riccardo Muti.
Oggi, ricorda Scarnecchia, “Aleppo è entrata prepotentemente e tragicamente nelle cronache giornalistiche per la devastazione e le atrocità della guerra, ed è difficile riuscire a immaginare un paesaggio sonoro diverso da quello delle esplosioni delle bombe, dei crolli e delle grida di dolore, dei lamenti dei feriti e del silenzio dei morti. […] Molti musicisti aleppini, e più in generale siriani, oggi vivono all’estero, tra Germania, Francia e Inghilterra, e il tessuto connettivo della città di mercanti, artigiani e artisti non esiste più, ma la memoria della sua ricca tradizione musicale nonostante tutto è ancora viva, anche se rischia di perdersi”. Il patrimonio musicale siriano non è solo musulmano, poiché “anche le comunità di ebrei sefarditi di Aleppo intonavano i propri canti devozionali e festivi sulle stesse scale modali e sulle stesse melodie dei loro concittadini di diversa fede religiosa, così come facevano anche le diverse confessioni delle comunità di cristiani, compresa quella degli armeni. Aleppo era un crocevia in tutti sensi, non solo dal punto di vista geografico, ma più in generale culturale, spirituale e linguistico”. A questa pluralità di lingue e di culture vuole fare omaggio il concerto dedicato ai i canti d’amore e di lode delle comunità siro-cristiana, armena, musulmana e giudaica.
Il concerto, spiega Razek-François Bitar, prevede un programma diviso in quattro parti unite dal tema dell’amore, declinato in chiave sacra, mistica e profana, che vogliono rendere omaggio alle diversità culturali e religiose della città, che ad Aleppo, come ricordava anche Scarnecchia, condividevano non solo lo spazio urbano, ma anche forme, scale modali, strumenti e stili musicali. La prima parte è dedicata alla comunità ebraica, la seconda alla tradizione arabo-siriana, la terza alla tradizione aramaico-cristiana, da cui proviene lo stesso Bitar, infine la quarta prevede canti della tradizione armena, in particolare del poeta settecentesco Sayat-Nova, il cui padre era originario di Aleppo, e del Padre Komitas.
I protagonisti sono musicisti che ora vivono in diverse città d’Europa: Razek-François Bitar è un controtenore molto attivo nei teatri internazionali, formatosi a Damasco, al Conservatorio di Genova e a quello di Roma. Il violinista Salim Saroueh, nipote di un compositore e suonatore di cetra trapeziodale qanun noto il tutto il mondo arabo, si è formato a Damasco, alla scuola di Jean Ter-Merguerian a Marsiglia e, come studioso di scienze islamiche e scienze politiche, a Berlino. Nabil Hilaneh, suonatore di liuto arabo oud, si è formato all’Accademia di musica di Damasco e con Naseer Shamma; dal 2014 vive a Berlino e tiene concerti in Europa. Georges Saade ha una doppia formazione come pianista e suonatore di tamburi del mondo arabo e ama, nei suoi progetti musicali, lavorare sulle commistioni ritmiche possibili tra tradizioni musicali orientali e occidentali.
Info e prevendite: tel. 0544 249244 – www.ravennafestival.org
Biglietto (posto unico non numerato): 20 euro (18 ridotto).
I giovani al festival: fino a 14 anni, 5 euro; da 14 a 18 anni e universitari, 50% tariffa ridotta
In occasione di ogni concerto del Festival alla Classense si rinnova l’opportunità di uno speciale doppio percorso di visita - attraverso la Biblioteca stessa e il vicinissimo Museo TAMO – che attende il pubblico a partire dalle 18.30. Il percorso è accessibile su prenotazione a chi acquista il biglietto unico (10 euro) per tre visite guidate in lingua italiana al Teatro Alighieri, alla Biblioteca Classense e a TAMO. Il biglietto è disponibile presso la Biglietteria del Teatro Alighieri, Ravenna Incoming, uffici IAT e online (www.ravennafestival.org). Disponibile il giorno di visita anche biglietto ridotto a 7 euro per la sola visita a Classense e TAMO. Info e prenotazioni: visiteguidate@ravennaincoming.it | +39 0544 482838/35404
15 giugno Chiostro della Biblioteca Classense, ore 21.30
Il canto ritrovato della cetra
Lo splendore di Aleppo
Canti d’amore e di lode delle comunità siro-cristiana, armena, musulmana e giudaica
Razek-François Bitar controtenore
Salim Saroueh violino
Nabil Hilaneh oud
Georges Saade riqq e darbuqa
narrazione Paolo Scarnecchia
Cinque anni sono bastati a ridurre una città come Aleppo, che per secoli ha colpito i viaggiatori per ricchezza culturale e cosmopolitismo, in un cumulo di macerie, da cui la popolazione è ora in gran parte fuggita. Simbolo della musica di tutto il Vicino Oriente, Aleppo non aveva eguali per il patrimonio di canti liturgici e devozionali cristiani e delle comunità siriache e armene, ed era nota per la muwashshah, poesia strofica con ritornello di origine medievale, fiorita nelle corti della Spagna musulmana. Ai suoi musicisti, nati in un intreccio di culture che comprende le radici storiche della civiltà sefardita e il prezioso repertorio di canti della tradizione ebraica, e che vanta il celebre Codice di Aleppo, uno dei più antichi manoscritti del testo masoretico, in ebraico, dell’Antico Testamento, non resta che riproporne la memoria nella loro diaspora.