Domenica 4 luglio Riccardo Muti dirige l’Orchestra Cherubini e l’Armenian State Chamber Choir nel Teatro dell’Opera di Erevan
Dal proprio viaggio in quel “Paese delle pietre urlanti”, il poeta russo Osip Mandel’stam riporta: “Dal cielo sono cadute tre mele: la prima è per chi ha raccontato, la seconda per chi è stato ad ascoltare, la terza per chi ha capito. Così si conclude la maggioranza delle favole armene”. E Ravenna Festival si mette in ascolto con Le vie dell’Amicizia, il progetto che dal 1997 visita luoghi simbolo della storia antica e contemporanea. Riccardo Muti guida l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, a cui si uniscono musicisti dell’Armenian Philharmonic Orchestra, e l’Armenian State Chamber Choir domenica 4 luglio nel Teatro dell’Opera di Erevan, per il concerto che riallaccia – a vent’anni esatti dal primo viaggio del Festival in Armenia – legami che risalgono al passato Romano e Bizantino, quando Ravenna ospitava una fiorente comunità armena. Accanto a pagine sacre di Haydn, Mozart e Schubert, la sofferta spiritualità di questo Paese, il primo ad abbracciare il Cristianesimo più di 1700 anni fa, troverà eco nella prima di Purgatorio, commissione del Festival a Tigran Mansurian, il più grande compositore armeno vivente, per il VII centenario dantesco. Le voci saranno quelle del tenore Giovanni Sala e degli armeni Nina Minasyan e Gurgen Baveyan, rispettivamente soprano e baritono; il coro è preparato da Robert MIkeyan, mentre Davide Cavalli è all’organo. A rendere possibile l’evento, accanto ai tradizionali sostenitori pubblici e privati del Festival, anche il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale e la collaborazione con l’Ambasciata d’Italia a Erevan e il Centro Studi e Documentazione della Cultura Armena che ha sede a Venezia.
“È ancora vivo il ricordo del silenzio commosso, dell’emozione intensa che attraversava il Palazzo dell’Arte e dello Sport a Erevan di fronte alla musica di Giuseppe Verdi – ricorda Riccardo Muti – Era l’estate del 2001. Oggi, dopo vent’anni, torniamo in quella terra antica e dura, in quella terra inquieta in bilico tra Oriente e Occidente. Torniamo a lanciare un ponte di fratellanza, un segno di speranza, convinti come allora che attraverso la musica si possano superare incomprensioni e diversità di cultura, di lingua, di religione. Perché in musica è facile capirsi, perché la musica è la lingua di tutti, universale, come la poesia di Dante che vogliamo celebrare insieme al popolo armeno, che la conosce e la ama. Perché è nella bellezza, nella poesia dell’arte che possiamo ritrovare noi stessi e l’altro, ritrovare il calore di un abbraccio, ritrovare finalmente pace.”
È dalla cima dell’Ararat, in cui la tradizione riconosce l’approdo dell’Arca di Noè, che la vita riprese a scorrere dopo il Diluvio; è dunque al cospetto della millenaria cima, sacra agli Armeni, che si rinnova il messaggio di fratellanza e speranza nel futuro di cui Ravenna Festival si fa portatore con Le vie dell’Amicizia sin dal 1997, quando rispose alla chiamata proveniente da Sarajevo. Da quello storico concerto nella città martire bosniaca, è da sempre Muti a salire sul podio di orchestre e cori italiani, a cui in ogni occasione si sono uniti musicisti delle città meta del viaggio; indimenticabili i concerti a Beirut, Gerusalemme, Mosca, New York dopo l’11 settembre, Nairobi, Redipuglia, Teheran, Kiev…e, nel 2020, al Parco Archeologico di Paestum, gemellato con il sito di Palmira, per ricordare il popolo siriano. Quest’anno, a Erevan musicisti italiani e armeni condivideranno il palcoscenico per la seconda volta dopo il concerto in Italia del 1 luglio.
Negli Historiarum Ravennatum libri (1527) l’erudito Girolamo Rossi riporta che Ravenna fu fondata dai pronipoti di Noè partiti dall’Armenia. Benché inattendibili, queste leggende suggeriscono legami antichi: in età Romana la presenza di armeni era così consistente presso il porto di Classe che un quartiere del suburbio portava il nome di Armenia; presenza ancor più rilevante in età bizantina con l’arrivo a Ravenna prima del generale Narsete, rappresentante dell’imperatore Giustiniano, e poi dell’esarca Isacio, entrambi di origine armena. Sensibile agli echi di questo passato, il Festival aveva raggiunto Erevan nel 2001 in occasione delle celebrazioni per i 1700 anni del Cristianesimo in Armenia. Un’altra ricorrenza – quella del VII centenario della morte di Dante, che ispira la dedica d’amore di questa XXXII edizione del Festival – guida il ritorno nella capitale armena, attraverso la commissione a Tigran Mansurian di una nuova composizione ispirata alla seconda cantica, anta centrale del trittico che si è aperto con i Sei studi sull’Inferno di Giovanni Sollima, presentati lo scorso 10 giugno alla Rocca Brancaleone, e si concluderà con il debutto di O luce etterna di Valentin Silvestrov nella Basilica di Sant’Apollinare in Classe il prossimo 9 luglio.
“Da sempre, sulla mia scrivania, c’è una traduzione in armeno della Commedia – racconta Tigran Mansurian, la cui scrittura delicatissima e cristallina è spesso ispirata dalla musica sacra ma anche dalla tradizione folkloristica e popolare – Ho quindi accolto con gioia la richiesta di una composizione ad essa ispirata ma ho sentito anche una grande responsabilità nei confronti di Dante e del Maestro Muti: ho iniziato la composizione di questo Purgatorio tre volte e finalmente ne ho completato la quarta stesura. È stato inoltre necessario ridurre l’organico per le complicazioni legate alla pandemia e ho colto con piacere l’occasione per riscrivere l’opera per baritono solo, coro misto da camera, orchestra d’archi e percussioni. Considero questa versione quella definitiva e la più corrispondente al mio mondo sonoro in relazione con quello dantesco. Sono convinto che questo concerto, accanto alle Vie dell’amicizia di vent’anni fa, sarà uno degli eventi più significativi e memorabili della vita culturale dell’Armenia degli ultimi decenni.”
Per il Purgatorio – là dove si afferma quella che Boezio chiama musica humana, ossia la musica che mira a creare l’armonia dell’essere umano con sé stesso – Mansurian accosta due luoghi poetici ben conosciuti: l’incipit del canto I, “Per correr miglior acque alza le vele”, e la preghiera del Padre nostro con la quale si apre il canto XI. Il programma musicale si completa con altri tre brani di ispirazione sacra: il Te Deum di Haydn dove l’impeto celebrativo sposa la religiosità serena e razionale del compositore; il Kyrie in re minore K. 341 di Mozart con la sua scrittura densa di sfumature cromatiche e la strumentazione opulenta; la Messa n. 2 in sol maggiore D. 167 del giovane Schubert – scritta, si dice, in soli sei giorni, eppur dotata di un timbro delicato e dolce capace di richiamare ognuno al raccoglimento più intimo.