L’Amor che move il sole e l’altre stelle
25 maggio – 26 luglio 2015
L’edizione 2015 di Ravenna Festival sarà dedicata a Dante Alighieri, nei 750 anni dalla nascita. Questa ricorrenza, già di per sé estremamente significativa, segnerà di fatto l’incipit di un percorso, della durata di sette anni, con una scansione biennale, che si concluderà nel 2021, VII Centenario della morte del poeta avvenuta a Ravenna, che ne custodisce gelosamente le spoglie mortali e ne coltiva amorevolmente l’immortale memoria. Tappe di questo percorso saranno altrettanti lavori e progetti commissionati dal festival ad artisti che operano nei diversi linguaggi della creazione contemporanea, assecondando la natura multidisciplinare della manifestazione. Obiettivo principale è quello di mettere in evidenza l’attualità vivificante dei capolavori danteschi, in primis la Commedia, inesauribile ‘opera mondo’ in cui è forse depositato anche il segreto della nostra modernità. Se spesso infatti ci si limita a consegnare Dante alle pagine degli specialisti e degli studiosi che a volte ne possono neutralizzare la valenza e la potente volontà rigeneratrice, l’approccio che vogliamo adottare vede piuttosto Dante come poeta del futuro e che nello stesso tempo diventa davvero “uno di noi”, che molto si avvicina al Dante “everyman” ipotizzato da Ezra Pound.
È in questa prospettiva dunque che intendiamo proporre fin dal primo anno del nostro ‘viaggio’ dantesco nuove creazioni e progetti artistici innovativi che proiettino e declinino la Commedia nella contemporaneità, come nel caso della Video-Opera L’amor che move il sole e l’altre stelle, commissionata dal Ravenna Festival al compositore Adriano Guarnieri che si cimenta con il Paradiso, o della Vita Nuova, una creazione musicale che Nicola Piovani sta scrivendo sempre espressamente per il nostro festival. Ed è proprio su questi due importanti episodi che prende l’avvio una collaborazione ‘virtuosa’ che vede due tra i più importanti festival italiani – Ravenna Festival ed il Festival dei Due Mondi di Spoleto – mettere in cantiere importanti coproduzioni e collaborazioni, come la residenza condivisa tra la città romagnola e quella umbra dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini.
Dante nostro contemporaneo
Si diceva della Video-Opera L’amor che move il sole e l’altre stelle che, attingendo alla terza cantica della Commedia, riconfigura quasi un nuovo poema della luce (e del suono vorticosamente proiettato a 360° gradi nello spazio d’ascolto) potentemente immaginifico grazie all’uso strutturale del live electronics di Tempo Reale e dell’immagine digitale affiancata alle tecniche più sofisticate del light designing di Vincent Longuemare. Tecniche ed équipe collaudate nei precedenti due ‘episodi’ di quella che si configura come un’ideale trilogia – ovvero Pietra di Diaspro e Tenebræ – con la visionaria regia di Cristina Mazzavillani Muti, assecondata dall’estro inventivo dello scenografo Ezio Antonelli e dai video di Davide Broccoli. L’opera, diretta da Pietro Borgonovo alla testa del Mdi Ensemble (giovane formazione che nasce da una costola della “Cherubini”), nasce anche con la preziosa collaborazione con il Teatro della Pergola di Firenze e verrà introdotta dalla lettura di versi danteschi da parte di un grande attore come Gabriele Lavia. Sempre nella dimensione del mixed media si muove la composizione Divina.com di Daniele Lombardi, per orchestra e live electronics, giocato sulla vocalità estrema di David Moss e che ripercorre sonoramente l’itinerario tracciato dalle lapidi dantesche disseminate a Firenze. Un modo assolutamente originale per ripercorrere alcune delle tappe fondamentali della vita del poeta nella città da lui tanto amata-odiata, seguendone le tracce visibili di luoghi e personaggi che appaiono nella concretezza di quelle lapidi incise e che creano un anacronistico legame, un qui e ora di un mondo che da tanti secoli non c’è più. Divina.com verrà eseguita dall’Orchestra Cherubini diretta da Tonino Battista.
Multimediale, ma soprattutto vertiginosamente global (in sintonia con il concetto di opera mondo a cui si accennava), è le voyage intrapreso dall’artista francese Ghislaine Avan, di cui il festival proporrà in prima assoluta l’esito di un appassionato percorso pluriennale alla ricerca di Dante – presenza ubiqua e spesso insospettabile – nei luoghi più vari e talvolta più sperduti e improbabili della Terra, con il suo Le visage de la Comédie, spettacolo-performance mixed media ma anche film vero e proprio, che raccoglie centinaia di testimonianze (la Commedia letta dall’umanità), raccolte in tutti gli angoli del globo, capaci di dare un volto, anzi una miriade di volti all’universalità della poesia dantesca. Le musiche “acusmatiche” sono di Alexandre Yterce.
Con Vita Nuova il premio Oscar Nicola Piovani aderisce anch’egli perfettamente al tema del festival ispirandosi alle molteplici declinazioni che l’Amore assume in Dante, partendo inevitabilmente dall’amore per Beatrice (soggetto della Vita Nuova). Daranno voce al lavoro – coprodotto con il Festival di Spoleto e con il Festival “Armonie d’Arte” del Parco Scolacium (Borgia – CZ) – l’attore Elio Germano (reduce dalla mirabile prova data ne Il giovane favoloso, sempre per rimanere nell’ambito dei grandi poeti) e la soprano Rosa Feola.
La musica al tempo di Dante
“La musica al tempo di Dante” costituirà un’intera sezione del programma di Ravenna Festival con un intenso percorso musicale che vedrà protagonisti ensemble specializzati nel repertorio medievale accanto ai quali, dato l’indissolubile legame fra musica e testo poetico nel XIII e XIV secolo, figureranno celebri attori e declamatori di versi. Oltre all’ampia ricognizione nell’ambito della musica composta ed eseguita dai contemporanei di Dante, troverà spazio il tema della musica all’interno degli stessi capolavori danteschi.
Boccaccio dice di Dante che “…sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua giovinezza e a ciascuno che a que’ tempi era ottimo cantore o sonatore fu amico e ebbe sua usanza…”, ma è dai riferimenti stessi contenuti nella Divina Commedia che si evince quanto intenso dovesse essere il rapporto vissuto da Dante con la musica e i musicisti del suo tempo. Il celebre incontro con Casella nel secondo canto del Purgatorio, dove sarà il poeta a chiedere all’amico musico di intonare un canto, “Amor che ne la mente mi ragiona”, su versi dello stesso Dante, ci fa intendere quanto egli tenesse in considerazione la musica, tanto che anche in quella dimensione ultraterrena, manteneva intatto il suo potere di attrarre e consolare le anime.
Un singolare progetto di ricerca è alla base del programma “La Musica della Commedia” che l’Ensemble San Felice, diretto da Federico Bardazzi, presenterà nella dantesca Basilica di San Francesco. Un’attenta analisi di tutte le parti del testo della Commedia che presentano, o sottintendono, un qualche riferimento alla musica, in collegamento coi codici fiorentini o redatti nelle città dove Dante soggiornò – di epoca precedente la morte del poeta – ha guidato Federico Bardazzi, affiancato da Suor Julia Bolton Holloway, docente di Studi Medievali presso le Università di Berkeley e Boulde, ad individuare un repertorio che spazia dal gregoriano di area fiorentina all’Ars Nova veneta, dalla Lauda alle Cantigas di Santa Maria di Alfonso X (legato a Brunetto Latini da relazioni politiche). L’excursus musicale, dall’Inferno al Paradiso, viene accompagnato dalla lettura di testi e citazioni dantesche.
All’interno della produzione delle Rime, che Dante continuerà a comporre durante tutta la vita, le cosiddette Rime Petrose, databili tra il 1296 e il 1304, utilizzano uno stile volutamente crudo e poco armonioso che prelude a quello della prima Cantica della Commedia. Questi versi e queste musiche del disincanto e della malinconia – che adottano nuovi codici espressivi e necessitano di tecnica ed esecutori capaci di arditi virtuosismi – costituiranno il focus di “Più dura che petra”, che Ravenna Festival ha commissionato all’ensemble di musica medievale LaReverdie con David Riondino voce recitante.
“Ravenna canta il suo Dante” invece vedrà protagoniste, sul palcoscenico del suo storico teatro che, non a caso, la città ha voluto intitolare proprio al poeta esiliato, due voci ravennati che alla lettura dei versi danteschi, in italiano e non solo, hanno dedicato tanta attenzione e passione, Ivano Marescotti e Franco Costantini. Alla loro recitazione si alterneranno le musiche e le danze interpretate da La Rossignol, ensemble specializzato nella musica e nelle danze medievali e rinascimentali.
Il percorso su “La musica al tempo di Dante” prevede un intero programma dedicato a colui che è ritenuto universalmente il più alto esponente dell’Ars Nova e massimo compositore italiano del Trecento, Francesco Landini – noto al suo tempo anche come “Francesco Cieco” per aver perso l’uso degli occhi in tenera età a causa del vaiolo, o come “Francesco delli organi” in quanto anche organaro ed inventore di strumenti musicali. “Luce nell’ombra” sarà il titolo del concerto che l’ensemble specializzato in musica medievale La Morra terrà nella Sala del Refettorio del Museo Nazionale dove sono esposti gli affreschi di Santa Chiara, prezioso ciclo pittorico che ornava la chiesa delle Clarisse di Ravenna all’epoca di Dante.
Particolare rilievo assumeranno quest’anno le tradizionali liturgie domenicali tutte inserite nella sezione “La musica al tempo di Dante”.
LaReverdie sarà protagonista del primo appuntamento In Templo Domini dal titolo “Liturgia in canto volgare” prevista domenica 7 giugno nella Basilica di San Francesco, interamente dedicata alla Lauda medievale, la tipica forma di componimento in volgare del XIII secolo sorta in seno alle confraternite religiose e laiche in particolare, che ebbe larga diffusione nelle forme paraliturgiche e nei pellegrinaggi di tutta Europa.
La domenica successiva, sempre nella Basilica di San Francesco, L’Ensemble San Felice diretto da Federico Bardazzi animerà una liturgia intitolata “La Messa di Dante”, che ricostruisce i brani dell’intera liturgia a partire da citazioni dei medesimi brani liturgici contenute nel Paradiso e nel Purgatorio.
Altre due liturgie chiuderanno il ciclo dedicato alla musica al tempo di Dante; la “Messa a Ravenna al tempo di Dante” proporrà l’Ufficio di San Severo conservato presso la Biblioteca Classense e risalente al secolo XI. La liturgia, che celebra uno dei primi Vescovi e Santi di Ravenna, e si presume fosse ancora praticata al tempo di Dante, sarà proposta nella Basilica di Sant’Agata Maggiore domenica 21 giugno dal coro Ludus Vocalis diretto da Stefano Sintoni.
Infine I Cantori di San Marco, diretti da Marco Gemmani, proporranno a San Vitale alcune pagine di altissima spiritualità di Hildegard von Bingen e alcuni brani tratti dal Codex Las Huelgas – XIII e XIV secolo – che potranno immergerci nel clima che animava l’Europa al tempo di Dante. “Il cuore sacro dell’Europa” vuole farci assaporare quelle radici diffuse di umano sentire, di coscienza e di pensiero, dalle quali è potuto scaturire il miracolo della Commedia di Dante.
Incroceranno a vario titolo il tema dantesco del festival altri appuntamenti espressamente pensati per la manifestazione ravennate, in grado di offrire pagine uniche di rara bellezza che difficilmente si ha il privilegio di ascoltare. Dedicheremo a Giovanni Battista Lulli, illustre concittadino di Dante vissuto anch’egli lontano dalla sua Firenze, sia pur in epoca assai successiva, un concerto che proporrà due sue composizioni, il Dies Irae e il Te Deum, in prima esecuzione nella loro versione integrale con incluse alcune pagine inedite. Conosciuto prevalentemente col nome naturalizzato francese di Jean-Baptiste Lully per aver trascorso gran parte della sua vita in Francia – dove giunse ragazzo e dove svolse la sua attività di musicista prevalentemente alla corte del Re Sole – è anche noto per il tragico quanto bizzarro incidente che gli provocò la morte per cancrena dopo essersi percosso violentemente un piede col pesante bastone col quale batteva il tempo in una prova proprio del suo Te Deum. “Lully, un fiorentino a Versailles” sarà diretto da Elena Sartori alla guida dei suoi Melodi Cantores a Sant’Apollinare Nuovo.
Il viaggio di un essere vivente agli inferi, viaggio da cui parte il percorso ascetico di Dante, ha visto protagonisti nella mitologia classica – cui Dante è strettamente legato tanto da aver scelto Virgilio come guida – figure come Orfeo e Ulisse alle quali la musica del Sei/Settecento ha dedicato pagine memorabili. Il musicologo Guido Barbieri sarà la guida dell’itinerario musicale “Viaggiatori degli inferi” che porterà il giovane direttore ravennate Nicola Valentini – con l’orchestra Dolce Concento Ensemble ed alcune voci emergenti del panorama nazionale, fra le quali segnaliamo quella del giovane controtenore Raffaele Pe – ad esplorare alcune delle pagine più belle di Monteverdi e del repertorio barocco.
I Cantori di San Marco diretti da Marco Gemmani, presenteranno nella Basilica di San Vitale “Il Cantico dei Cantici” di Alessandro Grandi, una delle figure più rappresentative del primo Seicento veneziano, fra l’altro assistente di Monteverdi nella Basilica di San Marco. Il ben noto testo della Sacra Scrittura che inneggia all’Amor che move il sole e l’altre stelle, attraverso l’allegorica esaltazione dell’amore sensuale fra l’uomo e la donna, è stato quasi per intero musicato da Grandi in pagine di straordinaria bellezza e difficile esecuzione a 5, 6 e 7 voci, che verranno in gran parte presentate per la prima volta in tempi moderni.
Un suggestivo raffronto fra tre diversissime espressioni della devozione mariana che prende il titolo dalla ben nota ed emblematica espressione coniata da Dante per definire il rapporto fra Maria e Gesù, Figlio e Creatore allo stesso tempo, “Figlia del tuo Figlio”, si compirà nella Basilica di San Vitale dove Vittorio Ghielmi e il suo ensemble Il Suonar Parlante, assieme al gruppo di cantori sardi Concordu de Orosei, eseguiranno tre diversi Stabat Mater, uno popolare di tradizione sarda, appunto, quello di Josquin des Prez che risale al 1519 ed infine lo Stabat Mater di Arvo Pärt composto nel 1985.
Concerti, direttori e solisti (sinfonica e oltre)
Non poteva mancare lo spazio dedicato alla musica sinfonica che vedrà innanzitutto il ritorno di Zubin Mehta assieme all’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, con un avvincente programma classico-romantico con musiche di Beethoven, Wagner e Cˇajkovskij, seguita dall’orchestra dei Münchner Philharmoniker, diretta da Semyon Bichkov, in un programma che, oltre alla Terza Sinfonia di Brahms, vedrà l’esecuzione di due capolavori del primo Novecento francese come il Concerto in sol maggiore per pianoforte e orchestra (con uno straordinario solista come Jean-Yves Thibaudet) di Ravel e La mer di Claude Debussy. Un’ulteriore possibilità di immergerci nel mondo dantesco ci viene invece offerta dalla Budapest MAV Symphony Orchestra che assieme all’Angelica Girls’ Choir, anch’esso proveniente dalla capitale ungherese, eseguirà, diretta da Vittorio Bresciani, la grandiosa Dante-Symphonie di Franz Liszt (una coproduzione con il Budapesti Tavaszi Fesztivál – Festival di Primavera di Budapest), introdotta dalle letture dantesche per la voce di Chiara Muti e accompagnata dalle potenti immagini di Gustave Dorè.
Riccardo Muti, sempre sul podio della prediletta Orchestra Cherubini, sarà protagonista dell’ormai tradizionale concerto sulle “Vie dell’Amicizia”, la cui meta non ci è qui ancora dato rivelare.
Se l’era postmoderna ci ha reso famigliare la pratica del de-comporre e del ri-comporre, con grande libertà attraversando sincronicamente sia il tempo che lo spazio, l’operazione compiuta dal compositore britannico Max Richter (già tra i fondatori del leggendario Piano Circus ed autore di importanti colonne sonore come quella del film di Ari Folman Valzer con Bashir), che ha riscritto uno dei brani più popolari della musica di tutti i tempi come Le quattro stagioni di Vivaldi rendendolo un brano assolutamente contemporaneo, non ci troverà del tutto impreparati. Tant’è che il reload del capolavoro vivaldiano, che si avvale di un solista di grande classe e virtuosismo come il violinista inglese Daniel Hope, operazione raffinata e certo non commercialmente corriva, è stato accolto da un grandissimo successo. Quella che ne offrirà Ravenna Festival sarà la prima esecuzione italiana.
Nell’ambito della popular music e della musica d’uso citiamo il concerto che vedrà l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai diretta da Pietro Mianiti, con il celebre pianista jazz Danilo Rea come solista, ripercorrere “60 anni di sigle RAI” e dunque oltre mezzo secolo di storia italiana e del nostro immaginario collettivo, scanditi da brani musicali che vanno dal tema dell’Inizio delle trasmissioni, il Finale del Guglielmo Tell di Rossini, alla sigla di Quark, la Suite n. 3 di Bach passando per Ufo Robot, Canzonissima, Sandokan, Studio uno, Spazio 1999 e molte altre fino ad arrivare al tema della Fine delle trasmissioni (l“Aria di Saturno” composta da Roberto Lupi) che, con il monoscopio Rai, augurava la buonanotte agli italiani.
Roberto Vecchioni è uno dei protagonisti indiscussi della canzone d’autore italiana ed il Ravenna Festival gli rende omaggio (dopo aver ospitato negli anni Franco Battiato, Francesco De Gregori, Gino Paoli, Renato Zero, Peppe Servillo e Vinicio Capossela), con un concerto assieme all’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini.
La tradizione del Nuovo: Boulez e Bartók
Con questa dicitura (che rimanda al titolo di un influente libro del critico d’arte statunitense Harold Rosenberg) si dà l’avvio a uno spazio del festival che intende proporre figure ‘eroiche’ (come Bartók e Boulez, appunto) di quella grande avventura che è stata ed è ancora quella che viene denominata “musica moderna” (o “New Music”). L’intento è anche quello di avvicinare un pubblico giovane a personaggi particolarmente visionari che hanno rivoluzionato non solo la musica, ma la stessa cultura per come oggi la concepiamo, il nostro immaginario sonoro, influenzando (per molti insospettabilmente) anche l’evoluzione della musica rock ed elettronica dei nostri giorni.
Il primo episodio è rappresentato dall’integrale dell’opera per uno e due pianoforti di Pierre Boulez, proposta da colui che ne è oggi il massimo interprete, ovvero Pierre-Laurent Aimard assieme a Tamara Stefanovich, celebrando nel contempo i 90 anni del più importante compositore francese vivente.
Ad uno dei grandi del Novecento, Béla Bartók, è dedicato – nei 70 anni dalla morte – un articolato progetto che comprenderà l’integrale dei quartetti per archi – vera summa compositiva del compositore ungherese – proposti in forma quasi di ‘maratona’ da due giovani ma assai valenti quartetti della sua stessa terra, l’Accord e il Kelemen (quest’ultimo si è infatti aggiudicato l’ultimo Premio Paolo Borciani) ed altri capolavori come il Divertimento per archi e le Danze popolari rumene proposti dalla Budapest Strings Orchestra.
Un programma più classicamente rassicurante sarà invece quello offerto dal Pacific Quartet Vienna, formazione anch’essa giovane e talentuosa che scaturisce dalla prestigiosa ECMA (European Chamber Music Academy).
La danza e il musical
Il Ravenna Festival ha sempre rivolto attenzione al mondo del musical, forma popolare di teatro musicale i cui esiti sono spesso confrontabili per qualità artistica con l’opera lirica, e così, dopo West Side Story, Cats, Evita, Mamma Mia, presenta il capolavoro di Richard O’Brien Rocky Horror Show, che dal 1973 (anno del suo debutto) continua ad essere tra i musical più rappresentati nel mondo e con una inesauribile schiera di fan che si riperpetua di generazione in generazione, contagiata dal suo libertario spirito trasgressivo che il tempo non pare scalfire.
Dal West End londinese prende le mosse anche quello che è considerato il più importante ed innovativo coreografo inglese, ovvero Matthew Bourne, con il quale il nostro festival ha instaurato un felice rapporto di collaborazione, a partire da Swan Lake. Bourne propone in prima italiana il suo The Car Man, liberamente ispirato sia al capolavoro di Bizet che – assecondando la dimensione cinefila del coreografo-regista – a Il postino suona sempre due volte, film cult, in entrambe le sue versioni (1946 e 1981), del romanzo noir di James M. Cain.
Allargando lo sguardo alla ricca scena coreutica inglese, il festival ospita per la prima volta la compagnia di danza dell’iconoclasta coreografo scozzese Michael Clark che presenterà in prima italiana la sua ultima creazione Animal / Vegetable / Mineral su musiche british rock di band come Sex Pistols e Scritti Politti. Da New York proviene invece il Dance Theatre of Harlem, oramai storica compagnia Americana fondata nel 1969 – l’anno dopo l’uccisione di Martin Luther King – dal primo ballerino afro-americano del New York City Ballet Arthur Mitchell, assieme a Karel Shook, che ne fecero così la prima compagnia di colore di balletto classico al mondo. Nel programma ravennate lavori di Ulysses Dove, Donald Byrd e Robert Garland su musiche di Arvo Pärt, Amon Tobin, Aretha Franklin e James Brown.
Aterballetto, compagnia che sta vivendo un momento particolarmente felice grazie anche a un formidabile gruppo di giovanissimi danzatori di valore europeo, avrà un duplice spazio nel festival in cui proporrà creazioni di coreografi emergenti come il greco Andonis Foniadakis e degli italiani Michele Di Stefano (fondatore di MK e Leone d’Argento per la danza in occasione del IX Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia) e Giuseppe Spota. A Di Stefano è dedicato l’appuntamento del Progetto RIC.CI (Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ’80/’90, a cura di Marinella Guatterini) che vede la ‘ricostruzione’ di e-ink seminale lavoro del 1999.
Quello di De Soprano’s poi – una coproduzione ICK Amsterdam (International Choreographic Arts Centre) e Opera Zuid, innovativa istituzione nell’ambito dell’opera lirica che ha sede a Maastricht – costituisce un ritorno di Emio Greco al festival, dopo la sua esibizione nel 2003, con un nuovissimo lavoro che vede come protagonista la musica di Giuseppe Verdi, eseguita dal vivo da un ensemble strumentale di giovani esecutori (diretto da Rolf Verbeek, che è anche l’arrangiatore dei brani verdiani) oltre a tre altrettanto giovani soprani (da cui il titolo Sopranos che rimanda ironicamente anche ad una popolare sitcom americana). De Soprano’s è la terza delle cinque parti di un progetto monografico concepito dalla coppia di coreografi Emio Greco e Pieter C. Scholten sul tema ‘Il corpo in rivolta’, presentato in prima italiana. Si tratta di una ricerca sul modo in cui il corpo reagisce al rapido sviluppo della nostra società, nella quale il corpo perde sempre più la sua centralità a causa della crescente importanza dei numeri e dell’informatica. Questa terza parte affronta il tema della rivolta da una prospettiva femminile. Che posto occupano le donne e il corpo femminile in un mondo maschilista nonostante l’avanzata emancipazione? Ne I Soprano le donne si scontrano con gli ideali a loro imposti nelle opere verdiane del XIX secolo. Allo stesso tempo si ribellano all’immagine contemporanea che impone loro elevate aspettative: una brillante carriera, un’armoniosa vita familiare, una florida vita sociale e un corpo attraente.
Altre musiche in luoghi altri
Il ricco programma del festival comprende anche una miscellanea di altri appuntamenti di varia natura ed in vari ambienti naturali e non, ma tutti di grande suggestione.
Ricerca tecnologica, dialogo serrato tra i linguaggi dell’arte, attenzione al rapporto con l’ambiente architettonico ed il territorio stanno alla base dell’approccio di un inventore-performer (la parola ‘musicista’ è infatti riduttiva) come Pietro Pirelli – compositore di musica elettronica che fa parte del Centro di musica informatica AGON di Milano – che per lo spazio assolutamente unico di Trepponti a Comacchio ha concepito una complessa installazione ‘site specific’ sonoro-luminosa interattiva, basata sui due elementi di luce ed acqua (nell’Anno Internazionale della Luce). Nel titolo “Arpa di luce. Mirabil uso” si rievocano i versi dedicati a Comacchio di un altro grande poeta italiano come Torquato Tasso.
Ambientazione molto particolare, anche per l’opera musicale Il Canto nell’Antro: Concerto per Anguane, grotte e specchi d’acqua, ideata dalle musiciste Simona Gatto e Marta Celli, che compongono il Duo Alarc’h e che concluderà il trekking nel Parco della Vena del Gesso Romagnola. Leggende della tradizione alpina narrano che le Anguane, eteree creature dai lunghi capelli, abitassero in grotte presso torrenti e fiumi; e che in quei luoghi, grazie al loro melodioso canto, attirassero gli uomini, come omeriche sirene, per ridurli in schiavitù. Donne bellissime e selvatiche, un po’ ninfe e un po’ bisce d’acqua, amavano la danza e il canto notturno, erano dotate di facoltà profetiche ma, all’apparire dei cacciatori, fuggivano via trasformandosi in cigno. E sono le Alarc’h, duo il cui nome è proprio “cigno” in lingua bretone, a proporre questo viaggio musicale attraverso gli archetipi del femminile, dove l’acqua, madre e matrigna, si unisce alla grotta in un “regressus ad uterum”, simbolica discesa agli inferi, per giungere infine ad una nuova nascita. Lo spettacolo, creazione originale per il Ravenna Festival, vedrà le musiciste accompagnate da Fabio Mina ai flauti e dall’Ensemble d’archi della Scuola di musica “Giuseppe Sarti” di Faenza in uno scenario naturale d’eccezione: la cava della Marana.
Nell’evocazione di una turrita Italia medioevale, che la tematica dantesca inevitabilmente sollecita, non risulta affatto estranea L’opera equestre che Giovanni Lindo Ferretti propone, per l’ampia corte/aia antistante il settecentesco Palazzo San Giacomo a Russi, con la sua Libera Compagnia di Uomini, Cavalli e Montagne, intitolata Saga. Il Canto dei Canti. Si tratta, nelle parole di Ferretti, di una “Partitura per voce, cavalli, incudine con mantice e bordone” che vede ‘in scena’ oltre allo stesso Giovanni Lindo Ferretti (personaggio chiave e oltremodo carismatico della musica alternativa italiana a partire dai primi anni ’80), un musicista (‘Signore delle musiche’) un maniscalco (‘Signore dei cavalli’) e – soprattutto – venti cavalli e alcuni cavalieri.
“Saga – scrive Ferretti – è il racconto di un antico patto che antichi uomini ed antichi cavalli sancirono a reciproco sostegno; un patto che avendo esaurito ogni ragione materiale di sussistenza, e proprio in virtù di ciò, lascia intravedere una ricchezza spirituale e comportamentale che merita di essere indagata. Conservata, restaurata, offerta alla vita quotidiana di chi ne comincia a percepire mancanza”.
L’acqua ritorna come sfondo, questa volta meno favoloso ma molto spesso tragico, de Il Volo. La ballata dei picchettini, di Luigi Dadina, Laura Gambi e Tahar Lamri, una co-produzione Ravenna Festival-Teatro delle Albe. Il Volo è un nuovo, potente lavoro di teatro in musica dove si alterna parola detta e parola rappata e si narrano storie di lavoro all’interno delle navi all’attracco nel porto di Ravenna. Storie tragiche (come quella della Mecnavi nel 1987 in cui persero la vita 13 persone) i cui protagonisti appartengono ad una umanità variegata e multietnica a cui Il Volo intende dare una voce e un volto.
E tante altre storie ancora, che rimandano all’oralità, a quando le storie venivano raccontate e cantate a viva voce, espressione di una socialità altra assai diversa da quella odierna dei social network. Storie di voci nomadi, tra Sardegna, Mongolia e Albania, terre scabre e antiche con tradizioni tuttora vive come lo sono quelle dei poeti estemporanei di Toscana e Lazio che ancora si sfidano all’ultimo verso in ottava rima. Dagli arcaici canti a tenores e difonici (o armonici) di origine pastorale con sullo sfondo paesaggi non troppo diversi da quelli evocati dallo stesso Dante al vertiginoso e così contemporaneo intrecciarsi di voci dello scandinavo Real Group, passando per altri canti intonati sulle montagne dai partigiani che lottavano per la libertà della propria terra (con Bella Ciao, lo spettacolo di Riccardo Tesi con Elena Ledda, Ginevra di Marco e Lucilla Galeazzi). Ma se la musica può essere miracolosa come viatico dell’umana esistenza e resistenza, un grande compositore del nostro tempo come Nicola Piovani ci insegna che può essere anche pericolosa, con il suo concerto-spettacolo – ambientato nell’affascinante cornice open air, tra gli antichi pini dell’anfiteatro MICOPERI – in cui anch’egli racconterà una storia, quella della sua vita cantabile “dove la musica diventa un pretesto per parlare della vita, e dove la vita si lascia agganciare proprio in quei momenti in cui un’aria, una combinazione di suoni, il fragore di una banda o l’audacia di un’orchestra hanno saputo toccarci il cuore e dirci qualcosa di più su questa rocambolesca avventura di essere musicalmente al mondo”.
Sir John Falstaff e la Riccardo Muti Italian Opera Academy
La XXVI edizione di Ravenna Festival si concluderà con un evento straordinario per diverse quanto singolari esclusive, che avrà come protagonista Riccardo Muti nel suo unico appuntamento italiano del 2015 con l’opera, il Falstaff di Giuseppe Verdi. Il grande capolavoro che chiude l’intera parabola creativa del maestro di Busseto, sarà proposto nel fortunato allestimento ideato da Cristina Mazzavillani Muti nell’ambito delle produzioni realizzate da Ravenna Festival per il bicentenario verdiano – ora inserito nelle manifestazioni di Expo 2015 – che ambienta l’opera nei luoghi verdiani: la casa natale di Roncole, il teatrino di Busseto e Villa Sant’Agata, con la sua facciata “giallo Parma” e il suo grande parco, luoghi che rivivono in scena attraverso la magia di proiezioni con le immagini catturate dagli scatti fotografici di Miriam Anconelli, Luca Concas e Martina Zanzani del VerdiWeb, progetto promosso da Ravenna Festival. Si dà così seguito, in qualche modo, all’indicazione dello stesso compositore che scrisse, a proposito di quest’opera, che sarebbe stato meglio rappresentarla fra le mura domestiche di Sant’Agata piuttosto che alla Scala.
La produzione di Falstaff coinciderà con un altro evento unico di rilevanza internazionale, la nascita della Riccardo Muti Italian Opera Academy promossa dalla RM Music.
Con questa iniziativa il maestro Muti realizzerà per la prima volta un corso per direttori d’orchestra, rispondendo non solo alle tante richieste ed agli auspici che da tempo e da tutto il mondo lo sollecitavano a dedicarsi all’insegnamento della direzione d’orchestra, ma portando a compimento un percorso di formazione dei giovani musicisti, iniziato nel 2004 con la costituzione dell’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini, che oggi arriva ad includere tutte le componenti alla base della realizzazione di un’opera, dall’orchestra ai cantanti, dai maestri collaboratori al direttore d’orchestra.
Il frutto di questo primo corso di formazione sarà presentato dallo stesso Riccardo Muti nel concerto finale che i giovani direttori, selezionati da tutto il mondo per prendere parte al corso, saranno chiamati a dirigere guidando l’Orchestra Cherubini e i cantanti scelti dai laboratori di Ravenna Festival in un programma interamente incentrato su Falstaff, materia ed argomento della prima Accademia.